martedì 19 novembre 2013

"LE PRIMAVERE TRADITE", Agostino Spataro alla Biblioteca "L. Pirandello" di Agrigento

COMUNICATO DELLA LIBERA UNIVERSITA’ AGRIGENTINA- AUSER Nel quadro del programma annuale “Mediterraneo, ieri e oggi”, la LUA ha organizzato una conversazione con Agostino Spataro, autore di diverse opere sul Mediterraneo e sul Mondo Arabo, sul tema: “LE PRIMAVERE TRADITE” L’incontro si svolgerà giovedì 21 novembre alle ore 17, 00 presso la Biblioteca“L. Pirandello” di Agrigento (via Imera, n. 50)- Ingresso libero Allego sull'argomento alcune pagine tratte dal mio libro "Osservatore del PCI nella Libia di Gheddafi- Un viaggio a Tripoli" Ed. Centro Stuidi Mediterranei, 2013. Saluti. a.s. Cap. IV LIBIA, UN’INSURREZIONE NON FA “PRIMAVERA” Le “primavere” arabe 1... Se è vero che “una rondine non fa primavera”e altrettanto vero che “una primavera”non fa una rivoluzione. Ovviamente, se per “rivoluzione” s’intende uncambiamento profondo dello stato di cose presente e non un mero ricambio diceti dominanti. Stiamo parlandodelle “primavere” arabe o “ri­voluzioni degli inter­nauti”che hanno scosso,ribal­tato gli assetti del potere in alcuni paesi nordafricani. In Tunisia un vasto,e inatteso, movimento popolare, sostenuto e orientato dalle forze politiche diopposizione (fra cui il partito islamista “Ennadha”) ha indotto Ben Alì allafuga. In Egitto, ilpresidente Moubarak è stato costretto alle dimissioni dal venir meno delsostegno degli Usa e dalle lotte poderose di uno schieramento ampio,soprattutto urbano, apparentemente dominato dalle componenti giovanili laiche eprogressiste. In realtà, dietro edentro tali movimenti c’erano i “fratelli mussul­mani” i quali, pur avendoun’influenza sociale diffusa e un’organizzazione radicata e ramificata nellasocietà, hanno man­tenuto un comportamento defilato, in attesa di subentrarealle prime elezioni libere che, com’è noto, sono state stravinte in en­trambi iPaesi dai partiti islamisti. Con tutto ilrispetto dovuto alle centinaia di vittime delle repres­sioni poliziesche, alcoraggio e alla determinazione di grandi masse giovanili, femminili e operaie,bisogna, però, rilevare che quelle non furono vere rivoluzioni, ma generoserivolte giovanili, concen­trate nelle grandi realtà urbane (molto meno nellecampagne), che, senza volerlo, hanno spianato la via del potere alle formazioniislamiste. Oggi, in questi Paesi è in atto una drammatica regressionepolitica e culturale (anche rispetto ai vecchi regimi) che nessuno dei grandimedia illumina, forse perché troppo concentrati sulla Si­ria a… spianare lastrada del potere ai Fratelli musulmani, amici dell’Arabia Saudita e degliamericani. Sappiamo che in Siria c’è una dittatura, ma deve essere quel popoloa liberarsene con le pro-prie forze e con i propri mezzi e non con armi e forzestraniere come quelle provenienti dalla Francia e da altri paesi della Nato chesembra sia stata trasformata in un nuovo gendarme del mondo. 2... Tali movimenti, infatti, sono esplosi perlegittime rivendicazioni endogene (la mancanza di libertà, di diritti civili,la sete di giusti­zia, di modernità, la lotta alla corruzione e alla disoccupa-zione,ai privilegi, ecc), ma anche per induzione esterna mediante l’uso mi­rato eraffinato dei social network . L’obiettivo eraquello di rovesciare i regimi tirannici, quasi tutti amici dell’Occidente. Difatto, però, le “primavere” hanno agevolato la vittoria dei “fratellimusulmani “e di altre organizzazio­ni islamiste, anche di tendenza salafita. Un processo contraddittorio, ambiguo come rileva Mahdi Darius Nazemroaya, nella sua analisi “Dividere,conquistare e regnare in Medio Oriente”, pubblicata alla fine del 2011: “Il processo della “primavera araba” haribaltato in Nord Africa, dal Marocco all’Egitto, regimi politici autoritarifondamental­mente laici e con più o meno sbiadite venature socialiste, portandoa capo dei nuovi governi gruppi islamici moderati. In Tunisia, Ra­chid Gannouchileader del partito Ennahda ha rimpiazzato Zine el Abidine Ben Ali. Nellavecchia Jamiryia i ribelli jihaddisti libici riuniti nel Cnt si sono sbarazzatidi Gheddafi grazie all’appoggio degli anglo-franco-americani, instaurando lasharia nella legisla­zione della “nuova Libia”. In Marocco, il partito islamico-moderato elegittimista Giustizia e Sviluppo ha vinto le elezioni legislative portando ilsuo leader Ab­delilah Benkirane ad esercitare il ruolo da primo ministro. InEgitto, il nuovo Parlamento, il primo da quando Mubarak ha la­sciato il Paese,è composto per tre quarti da islamici, vale a dire dai Fratelli Musulmani e daisalafiti. All’appello nordafricano mancherebbe soltanto Ennahda, il movimentoislamico algerino che concorrerà alle presidenziali nel 2014. [1] 3... Com’era prevedibile, l’appoggio datodall’Occidente alle“primavere arabe” si è risolto in un madornale errore. Masi tratta di errori o di qualcosa d’altro? Errori così pacchiani, ripetuti auto­rizzano, infatti, un dubbio atroce: gli Usasbagliano o hanno scelto, consapevolmente, di “sbagliare”? Difficile scioglieretale dubbio, anche se sappiamo, e vediamo, che le multinazionali Usa, pur dicontrollare il petrolio e il gas arabi, non si fanno scrupoli di allearsi anchecon i più fanatici nemici de­gli Usa e dell’Occidente ossia con la “tendenzaintegralista”, va­riamente connotata, l’unica in grado di controllare il poterepolitico e, quindi, le risorse degli Stati islamici. Nel suo saggio,Sebastiano Caputo da questa interpretazione: “Al momento né Washington né Tel Aviv hannosuonato il campa­nello d’allarme, difficile capire il perché. La prima ipotesipresup­pone che gli Usa sappiano che questi nuovi governi islamo- neo­con­servatoriagiranno principalmente nel campo del sociale attra­verso leggi che limiterannola libertà, mentre difficilmente mette­ranno le mani alla macroeconomia, vale adire il libero mercato e il sistema monetario attuale, di conseguenzarisulterebbe inutile scatenare pressioni o sanzioni… Tuttavia l’eclatante trionfo dei valoriislamici su quelli laici racchiude in sé una situazione para­dossale. Se sianalizza l’evoluzione della politica estera nord-ame­ricana dopo i cosiddettiattentati dell’11 settembre e l’atteggia­mento scettico nei confronti dell’Islam,la domanda che viene in mente è per quale motivo gli Stati Uniti d’America, “ga­rantidella democrazia nel mondo” permet-tono un tale evento sto­rico- poli­tico?Perché Israele consente a gruppi islamici, antisionisti e pro-palestinesi digovernare Paesi limitrofi (Egitto) o periferici (gli altri Paesi del Maghreb)?”[2] Morsi si, Morsi no. Sissi si, Sissi ni: l’Egittoimbrigliato nella catena delle contraddizioni occidentali Restando dentro la metafora, bisognava sapere che aitepori della “primavera” seguono il caldo torrido dell’estate e dell’autunno eil freddo dell’inverno. Ormai, però, laporta incautamente è stata aperta e il “dragone”, da tempo incatenato, è liberodi agire. Ad avvertire, per primi, l’incombente pericolo sono stati igovernanti israeliani che temono, con crescente inquietudine, l’addensarsi ailoro confini di nuovi re­gimi islamisti che non tollerano la presenza “della odiata entità sionista”. Probabilmente, anche da tali preoccupazioni è venuto il“nulla-osta” Usa ai vertici militari egiziani di destituire il legittimo pre-sidenteMohamed Morsi, leader della setta dei “Fratelli musulma-ni”. Un vero e propriocolpo di Stato, attuato con la silente complicità delle potenze della Nato,contro il primo rais eletto democratica-mente, come hanno garantito i mediaoccidentali; gli stessi che hanno applaudito il generale Sissi che lo hacacciato e che ora non sanno cosa diredi fronte alla sanguinosa reazione del governo militare contro le proteste dei “fratelli musulmani”. L’Egitto è, oggi,l’esempio più clamoroso e pericoloso della impasse in cui si sono cacciati igovernanti occidentali, della loro incapacità di rapportarsi con la complessarealtà del mondo arabo e islamico. Questi governisembrano arrogarsi perfino il “diritto di contraddizione”, senza pagare dazioper le gravi conseguenze provocate. Se a tutto ciò siaggiungono i comportamenti personali ambigui di taluni capi di Stato il quadrodiventa davvero fosco e preoccupante e la prospettiva molto confusa. A tale proposito, colpisconole accuse gravissime lanciate da Te-hani al- Gebali, vicepresidentedella corte costituzionale egiziana, secondo il quale - come riportato da “la Stampa” - “Malik Obama, fratellastro dell’omonimoPresidente (Usa n.d.r.), sarebbe legato a doppio filo con la Fratellanza musulmana,l’organizzazione del deposto Mohammed Morsi, inizialmente sostenuta anche dallaCasa Bianca.” Addirittura, al- Gelali rincara la dose quando afferma,esplicitamente, che : “il fratello delpresidente, Barack Obama, è uno degli architetti dei maggiori investimentidella Fra­tellanza musulmana”. (fonte: Francesca Canelli in “Libero- Quotidiano.it”del 27 agosto 2013 Non è il caso di enfatizzare questa denuncia, ma nemmeno dilasciarla cadere nel vuoto, poiché è chiaro che, se confermata, gette-rebbeun’ombra inquietante sull’immagine e sull’operato del pri-mo presidente afro -americano degli Stati Uniti d’America la cui elezione (meno la rielezione)abbiamo salutato come una grande conquista civile e politica del popolo americanoe, in generale, co-me una vittoria sull’ideologia razzista mondiale. Un eventoquasi assimilabile all’elezione di Nelson Mandela a presidente del Sud-Africa. Ho menzionato tale “notizia” per correttezza d’informazionee an-che perché, in qualche misura, evoca due episodi richiamati nel libro che credo meritino una riflessione, senon altro per le sorpren-denti analogie e coincidenze. Eccoli : 1) nel capitolo “La Sicilia e la Libia” dove si parla diBilly, fratello di Jimmy Carter altro presidente in carica, sbarcato in Libiaper rendere omaggio a Gheddafi e alla sua “rivoluzione” antimpe-rialista chegli Usa avevano messo al bando. A queltempo (1979), il “Billygate” fu fatto passare per una stravaganza di un uomo assillatodai debiti e dall’alcool, ma - come documentiamo- si trattò di una sorta di “missione patriottica” cheserviva al presidente Carter per risolvere, tramite il fratello, alcuniproblemi di vi­tale importanza. 2) nel “Viaggio aTripoli” segnalo, invece, la rumorosa presenza in Libia, nel 1984, perpartecipare alla conferenza internazionale di solidarietà con il regime diGheddafi, di un afro - americano qualificatosi (e accolto) come presidentedella proclamata “Repubblica islamica degliStati Uniti d’America”. Si trattava del dottor Louis Raphael, leader dei “BlackMuslim” americani, il quale promise (24 anni prima dell’elezione di Obama!)che presto avrebbero “piantato labandiera verde di Allah sul pennone della Casa Bianca”. L’Algeria ha già subìto il “trattamento” islamista Questa catena d’intrighi e di “contraddizioni”, forse,aiuta a capire perché l’onda lunga della “primavera” araba non sia arrivata inBahrain e in altre petro-monarchie del Golfo, nella stessa Algeria. Per quanto concernel’Algeria, c’è da notare che questo importante Paese, arabo e mediter­raneo, hasubito il “trattamento” (islamista) negli anni scorsi, con conseguenze davverodevastanti. I go­vernantialgerini capirono l’antifona e aprirono le porte alle mul­tinazionali Usa efrancesi ma anche russe. Oggi, il terrorismoislamista è “sotto controllo” e le multinazionali possono controllare,tranquillamente e per vie traverse, i traffici d’idrocarburi e anche lagestione (questa è la novità) di taluni settori strategici algerini quali itrasporti, i servizi d’igiene e la produ­zione e la distribuzione di energiaelettrica. L’allarme lo harilanciato, recentemente, Salima Tlemcani, su “El Watan” del 27/4/2013: “Mai,l’Algeria è stata così minacciata nellasua esistenza che in questi ultimi anni, a causa della sua rendita petrolifera.Il malgo­verno, la corruzione e gli interessi dei politi­canti hanno finito perconsegnarla alla vecchia potenza coloniale e agli Stati Uniti che, oggi, hannopraticamente il monopolio sui due settori strategici più sensibili : itrasporti e l’energia… Gli uomini a più alto livello dello Stato hanno messo ilPaese nelle mani degli Americani e dei Francesi, unicamente per comprare laloro bene­dizione”. Più chiaro di così! La “primavera” non sboccia in Bahrain Stranamente, nel vasto panorama delle petro- monarchiearabe, assolutiste e oscurantiste, la “primavera” non è arrivata, si è in­frantaalle porte dei loro avamposti più tirannici. E’ stata “dirottata”in Siria, si potrebbe dire. Non è riuscita a sbocciare nemmeno nel piccolo ericco emirato del Bahrain perché repressanel sangue dall’intervento militare delle truppe dell’Arabia saudita, suopotente vicino e tutore, e perché mistificata dalle tv satellitari arabe e ignoratadai media occiden­tali. Nel Bahrain (loscontro è ancora in corso) si vorrebbe salvare, ad ogni costo, una “dittaturaamica” poiché nell’emirato, pieno di ban-che arabe e occidentali e di basimilitari Usa, la protesta non corre sulweb, ma viene dalla casbah, dal popolo sfruttato, in gran parte di confessione“sciita”, e perché in seconda fila non ci sono i “fratelli musulmani”, prontia subentrare senza traumi, ma il popolo sciita in sintonia con il vicino Irandegli ayatollah. Evidentemente, all’interno del “cerchio Mena” il trattamentonon è uguale per tutti i Paesi: il Bahrain va difeso perché fa parte dellacatena delle dittature amiche, mentre Siria e Iran, considerate dittatureostili e indisponibili, vanno sovvertite, scalzate con ogni mezzo, compresol’intervento militare. Questa è la lettura più realistica degli avvenimenti! La posta in gioco è altissima e perciò non si bada a spese ea scrupoli di sorta. I decisori occulti e palesi sanno benissimo che chi, inquesto secolo, controllerà il “cerchio Mena” influenzerà il futuro del mondo. Il controllo di una regione così vasta e difficile, un po’scottata dall’esperienza coloniale europea, richiede la collaborazione in locodi vecchi e nuovi amici più solidi politicamente, disponibili a condividere irischi e i frutti dell’ambizioso progetto. Insomma, non ci si poteva più appoggiare su dittatoriesausti, screditati, corrotti che non avrebbero potuto più tenere a bada lemasse giovanili e popolari diseredate, ma bisognava individuare, promuoveresoggetti nuovi, decisi, influenti, capaci di generare anche un certo grado diconsenso sociale e politico. Dopo le intese con i re e con gli emiri, “moderni”all’estero e retrivi in patria, con gli uomini delle vecchie dinastiepetroliere, scan-dalosamente ricchi e gaudenti, con i rappresentantidell’aristocrazia compradorainternazionale, sono stati ricercati accordi con la “fratellanza musulmana”l’unica, nel mondo islamico, a essere ben organizzata, motivata e, dunque,capace di governare quelle società turbolente. Qua e là- secondo il bisogno- sono state contattate ereclutate an­che talune formazioni più estremiste. [1] S. Caputo “PianoYinon: la”primavera araba” per spaccare l’Africa” in “Informareper Resistere” del 8/4/2013 [2] S. Caputo, op. cit.

Nessun commento:

Posta un commento